mercoledì 30 novembre 2011

PALUDE di Antonio Pennacchi

   Il Premio Strega del 2010 gli ha dato il lustro e la visibilità che meritava. E adesso Antonio Pennacchi da Latina, scrittore operaio fasciomaoista iscritto al PD, è rispettato, invitato e coccolato dall’intellighenzia culturale italiana, la stessa che per anni non lo ha cagato lasciandolo agli editori minori (nel senso di piccoli), e che ora lo invita alle trasmissioni e lo intervista, salvo rimanere delusa o imbarazzata dalle sue risposte. Perché Pennacchi parla come scrive (o scrive come parla, non ho ancora capito la differenza), ma soprattutto scrive e parla come pensa. E pensa bene, diversamente dall’intellighenzia che oggi gli lecca il culo.
   Così, grazie alla ribalta sulla quale è riuscito a salire, Pennacchi e soprattutto i suoi nuovi editori, stanno ripubblicando i primi romanzi, quelli pubblicati da Donzelli negli anni novanta, a meno di mille copie a libro. Lo scorso anno è (ri)uscito Mammut, e quest’anno è (ri)uscito Palude. Leggermente riveduto il secondo. Hanno fatto bene a ripubblicarli, primo perché così si sono fatti un po’ di soldi (gli editori soprattutto, ma anche Pennacchi gli auguro), e poi perché così il pubblico avrà la possibilità di conoscerli, perché le vecchie edizioni dell’editore Donzelli, oggi sono pressoché introvabili. Già dieci anni fa avevo fatto fatica a trovarle. E adesso me li sono ricomprati (così come ho fatto anche con Viaggio per le città del Duce), non tanto per feticismo o per tifo (per quanto io Pennacchi l’ho veramente scoperto per primo, quando, se andava bene, era ospite delle tv private), ma per orgoglio. Dieci anni fa avevo dovuto scrivere agli editori per farmi mandare quei libri, ed oggi me li sono ricomprati e nemmeno in libreria – non entro in una libreria da almeno cinque anni – ma nei centri commerciali, cioè nei posti dove per principio la scelta libraria è fatta a cazzo da commessi che hanno studiato scienze delle comunicazioni e dove sugli scaffali trovi solo quelli veramente famosi. All’Ipercoop Viaggio per le città del Duce, all’Esselunga Mammut e all’Auchan Palude appunto.
   Col senno di poi, Palude è forse uno dei suoi romanzi migliori. Perché Mammut è delicato, ma resta un romanzo d’esordio, Il fasciocomunista è appassionante, ma sa molto di seduta psicanalitica che Pennacchi fa a se stesso, Canale Mussolini è un’epopea in piena regola e per tanto è un outsider, lo puoi confrontare al massimo con I promessi sposi o con Guerra e pace, non con i libri che sono alla Coop, a fianco di quelli della Litizzetto. Palude, invece, è equilibrato, e forse è il romanzo più di fantasia che Pennacchi abbia scritto, per quanto i personaggi siano tutti veri e realmente esistiti.
   Palude è l’operaio comunista protagonista della storia. Padre e marito, dedito al sindacato, e portiere della mitica Fulgorcavi Latina, la squadra che veramente giocava in serie D negli anni settanta (con Eugenio Fascetti allenatore, che Pennacchi rivela essere “un po’ di destra”, cosa che proprio non mi aspettavo, perché essendo Fascetti un toscano viareggino doc, non so come mai ma me lo facevo di sinistra, tipo Ulivieri e Orrico). La storia racconta che Palude affronta un trapianto di cuore, dopo il quale si rimette al meglio, ma assorbe anche la cultura infinita (e la voglia di scopare) che aveva il ragazzino nerd al quale il cuore è stato espiantato. E arriva pure a scoparsi la ragazza che al nerd piaceva e dalla quale prendeva picche (ma che con Palude ci sta eccome), finchè questa e sua moglie si mettono assieme e scappano via.
   Il tutto raccontato nello sfondo della Latina degli ultimi cinquant’anni (la città “facente funzione”, leggete il romanzo per capire che vor dì), con tre divertentissime storie di contorno che si intrecciano con quella di Palude. La prima storia è quella di Benedetto, il ragazzino sfigatissimo che morirà in un incidente d’auto e donerà il cuore a Palude. Iperacculturato, ma così ansioso da non riuscire a superare gli esami all’università. Morto in un incidente d’auto causato dai medici dell’ospedale, a cui serviva un cuore da trapiantare per evitare di perdere il posto.
   La seconda storia di contorno è quella dello spirito di Mussolini, che secondo la vox populi di Latina, sarebbe stato condannato da San Pietro ad errare per l’agro pontino su una Guzzi 500 e a cercare di migliorare la gente del posto (ossia la sua gente, visto che la bonifica l’ha fatta il fascismo), che però di essere migliorata proprio non vuole saperne. Quindi il Duce fa una fatica del diavolo e senza risultati, anzi. Perché Dio gli ha detto che tutti i peccati degli abitanti dell’agro pontino glie li metterà in conto. Il Duce ha provato a ribellarsi e a spiegare a Dio che si era detto che le colpe dei padri ricadranno sui figli, e non viceversa, ma Dio ha ribattuto che non ci può fare nulla se la realtà gli è venuta fuori dialettica. Geniale!
   La terza storia di contorno è la migliore. È quella di Ajmone Finestra ex soldato repubblichino e poi a lungo federale locale del MSI (dal quale fece espellere proprio Pennacchi negli anni sessanta), che negli anni novanta diventa per un decennio sindaco di Latina. Finestra è il fascista perfetto e tutto d’un pezzo, che no si arrende mai, nemmeno davanti all’evidenza. Tipo Tognazzi nel film Il federale. L’ottusissimo ed eroico Finestra, diventato sindaco della città del Duce, non ha digerito che Il sole 24 ore abbia inserito Latina agli ultimi posti nella classifica dei capoluoghi di provincia, ed è alla continua ed incessante ricerca di qualche cosa che faccia balzare la sua Littoria in testa a quella classifica (ovviamente senza riuscire a smuoverla di un solo posto). Inizia facendo piantare le palme sul lungomare, poi continua in crescendo, facendo tentare la fusione a freddo nella ex centrale nucleare, obbligando i medici a fare un trapianto di cuore (quello di Palude appunto), fino alla preparazione di un aeroporto per astronavi, per fare sbarcare a Littoria gli alieni, che Finestra aspetta andando avanti e indietro sul lungomare, proprio come faceva nel ’44 dopo lo sbarco di Anzio con gli americani.
   Forse pesa un po’ la terza parte del romanzo, quando Palude entra in coma e fa miracoli assieme allo spirito di Benedetto e Maria Goretti. Nel senso che il romanzo era già perfetto ed equilibrato fino a quel punto e poteva finire benissimo con Palude che schiatta di botto vedendo moglie e amante insieme al gay pride. Anche Pennacchi nella postfazione rivela che il suo soggetto iniziale finiva lì. Resta il fatto che nella terza parte il miracolo vero è che Finestra rimane in cinta, lui uomo di oltre settant’anni, e questa sarà la notizia che farà balzare per sempre Littoria agli onori delle cronache.
   C’è da giurare che fra cent’anni, oltre allo spirito del Duce, si aggirerà per Latina – Littoria anche quello di Pennacchi, col bastone e con il cappello in testa, seduto ai tavolini del bar, pronto ad incazzarsi con tutto e con tutti.

Nessun commento:

Posta un commento