domenica 22 gennaio 2012

Il paese degli Schettini

   C’è una Italia che è fatta di persone che non si arrendono! Applauso. C’è una Italia di gente che lavora per gli altri: la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza! Applauso. C’è una Italia di gente che riga diritto, che fa il proprio dovere, che paga le tasse, con le quali finalmente possiamo pagare i soldi a strozzo che la BCE ha finto di prestarci in cambio della sovranità monetaria, così poi ci faranno un prestito ancora maggiore e sarà la fine! Applauso.
   C’è una Italia di giornalisti di merda che affollano le trasmissioni che ti aggiornano in tempo reale sul numero delle vittime ripescate dal naufragio della Costa Concordia, e che esaltano l’Italia della maggioranza silenziosa che riga diritto e paga le nuove tasse stabilite da Monti per portarci fuori dalla crisi. E questa Italia ha già scelto il proprio nemico nei politici della casta che non si diminuiscono gli stipendi e nel comandante sorrentino Schettino che ha abbandonato la nave per primo strafottendosene dei passeggeri. Tranquilli però, perché gli italiani non sono così, lo ha detto la televisione.
   Gli italiani sono un popolo di santi, di eroi, di poeti e di navigatori. Solo che di santi, dopo Filippo Neri, ne sono rimasti ben pochi. È vero, qualcuno, per sopperire alla carenza, ce lo siamo inventati, come Maria Goretti, che poverina non è stata violentata, come ha dimostrato Giordano Bruno Guerri, perché il suo assassino era impotente, e l’ha ammazzata proprio per la vergogna che lei raccontasse che non era riuscito a violentarla malgrado i tentativi. E nell’attesa che facciano santi quegli infami di De Gasperi e Woytjla (nemici giurati di ogni socialismo reale, compresa la Repubblica Popolare Scatologica), è meglio che l’appellativo di santi ce lo togliamo, perché, per la santificazione, pagare il canone Rai e votare per Di Pietro non basta.
   Gli eroi, a parte i vigili del fuoco che vengono decorati anche solo per avere salvato un gattino per le telecamere di Studio Aperto, sono finiti da mo’. Bene inteso che gli alpini che muoiono in Afghanistan e quelli che sono morti in Iraq non sono eroi, ma colonialisti armati di merda, uccisi dalla popolazione del paese che hanno invaso, che ha un sacrosanto diritto di difendersi.
   Di poeti ne abbiamo avuti tanti, eravamo i primi in classifica, fino alla fine dell’Ottocento, con Carducci, Pascoli, D’Annunzio. E pure il Novecento era iniziato bene, con Ungaretti, Montale, Quasimodo. Solo che a un certo punto ci siamo arenati. Considerato che Pasolini è morto nel 1975, sono quasi quarant’anni che non abbiamo un poeta, e il conferimento del premio Nobel per la letteratura a Dario Fo nel 1997 (con Luzi ancora vivente) è la riprova della dannazione eterna che accompagna la nostra poesia.
   Per quanto riguarda i navigatori… beh, direi che non è il momento giusto per fare questo discorso. O forse sì. Perché Schettino che lascia la nave e non affonda con lei, e che risponde all’ammiraglio che gli ordina di tornare a bordo “ma adesso è buio!”, è la massima forma di manifestazione della nostra italianità. Che è meschina, dite quello che vi pare, meschina e invidiosa. Schettino non è un’eccezione, perché il suo comportamento è perfettamente in linea con la tradizione militare italiana: generali incapaci e il più lontani possibile dalla prima linea, truppe allo sbaraglio e senza ordini, in preda ad un nemico che sciala. Il maresciallo Badoglio, per esempio, durante la ritirata di Caporetto si era strappato i gradi perché i tedeschi che lo rincorrevano, da lontano, non capissero che era un ufficiale. Trent’anni dopo, da capo del governo, si è arreso agli americani senza comunicarlo ai tedeschi, e quando è stato costretto a dare la notizia almeno agli italiani è scappato di notte in borghese, lasciando un milione e mezzo di soldati senza ordini. Poi alla fine della guerra gli hanno dedicato un paese.
   Nell’attesa che a Sorrento inaugurino la statua a Schettino (con il timone in mano, tipo il capitano del tonno Nostromo) facciamo un esame di coscienza (e un bel po’ di autocritica maoista): noi siamo il paese degli Schettini, non ci sono cazzi. Quella nave naufragata nel Tirreno (e non nella fossa delle Marianne) è la metafora del nostro paese. C’è un guasto grave e i capi fanno finta di niente, si mettono in salvo sulla pelle della gente, che crede che l’essere persone per bene basti ad avere il diritto di essere protetti dalle istituzioni.

venerdì 20 gennaio 2012

Pierino torna ancora (2009)

   E per finire: l’ennesimo ritorno: Pierino torna ancora ancora (precisano su un forum), perché è già tornato una volta. Dirige sempre Gianfranco Iudice (non c’è due senza tre). Non si hanno notizie sulla trama, però il progetto è partito realmente. Nel 2008 è uscito l’annuncio per i provini, che nell’autunno dello stesso anno si sono realmente tenuti e qualcuno li ha pure messi in rete (e pare che siano stati trasmessi anche in televisione sulle private lombarde). Avrebbe dovuto produrre la Excelsior Cinematografica di Milano, e le riprese sarebbero dovute partire da marzo 2009 in poi. Pare che qualche scena sia stata anche girata (c’è chi giura di avere visto un filmato di back stage, se così si può chiamare, con Alvaro vestito da benzinaio). Ma sicuramente le riprese non sono mai terminate e il progetto, l’ennesimo di Iudice, è per fortuna finito lì.

Pierino contro Fantozzi (2004)

   Il peggio è appunto questo. Ma per fortuna non se ne farà mai nulla. Si tratta solo di un progetto di Alvaro, quindi c’è solo il soggetto e nemmeno la sceneggiatura. Il progetto ce lo spiega proprio Alvaro in una intervista: dice di voler proporre a Villaggio un Pierino contro Fantozzi perché loro sono i soli due personaggi longevi e caratterizzati da un solo attore in tutto il cinema italiano. E fin lì ci sta. Poi prosegue con la trama di Pierino ormai all’università che fa gli scherzi e scureggia, e Fantozzi che è un suo professore. Mah!

Don Pierino (2000)

   Per fortuna non (ancora) girato, perché se trovano i soldi lo fanno, contaci che lo fanno. Anche se poi non lo distribuiscono, come tutti gli ultimi Pierini. Don Pierino nasce nella mente di Alvaro e della seconda moglie Stefania Corona come una sorta di parodia di Don Matteo. A quanto dichiarato in una intervista lo avrebbero già scritto, ma non è chiaro se si tratti di un film o di una serie. Comunque essendo finito Don Matteo potremmo non sentirne più parlare. C’è comunque di peggio.

Pierino il ripetente (1997)

   Il produttore De Benedittis, dopo il flop di Pierino torna a scuola (che è John Ford confrontato con il cinema di Iudice), si è reso conto della strada imboccata ed ha mollato l’idea di un Pierino al servizio di leva. Invece il regista Iudice, non pago di L’antenati tua e de’ Pierino, che la gente è scappata materialmente dalla sala all’unica proiezione, ha progettato un seguito e l’anno dopo lo ha realizzato. Almeno così pare. Si tratta di Pierino il ripetente, che le voci vogliono insistentemente girato e montato, ma mai distribuito, quindi questo non lo ha visto proprio nessuno. L’anno probabilmente è il 1997, anche se la scheda su Alvaro di wikipedia lo dà del 2003 e lo considera a tutti gli effetti un Pierino ufficiale. Probabilmente Angelo Russo, quello che nel precedente faceva il cavernicolo, qui fa il bidello.

L'antenati tua e de' Pierino (1996)

   L’idea non è malvagia, anzi lo è, però è meno peggiore di quello che poi deve essere venuto fuori. L’antenati tua e de’ Pierino è il secondo, per importanza, Pierino inediti. La trama è quella di un Pierino in tutte le epoche, tipo Superfantozzi, ma non è dato sapere quali epoche sono state allestite, a parte la preistoria, che ci è testimoniata dall’attore Angelo Russo, che avrebbe interpretato un cavernicolo e ha gentilmente concesso su internet una foto di lui in costume con Alvaro. Si tratta di un film amatoriale, girato probabilmente con un video tape da Gianfranco Iudice, giovanissimo apprendista regista siciliano (una specie di Vito Colomba del 2000). Si sa solo che le riprese avvengono nel 1996 in Sicilia e probabilmente lo avrà trasmesso qualche emittente privata siciliana. Inoltre, sul forum di Nocturno Cinema qualcuno racconta di una mitica anteprima (e ultima) proiezione al  cinema Quattro Fontane di Roma, alla quale prendono parte Alvaro e Mariano Laurenti (che però non c’entra con la realizzazione di questo capolavoro). Lo stesso che racconta di  avere avuto questo privilegio, dice anche di essersene andato disgustato a metà film. Purtroppo introvabile.

Pierino stecchino (1992)

   Il maggiore e più famoso dei Pierini inediti, quasi maledetto e ricercatissimo. L’aura di mistero lo ha fatto assurgere a capolavoro a scatola chiusa (si leggono commenti del tipo: “sarà sicuramente venuto bene”). In realtà gli ingredienti perché il lavoro sia venuto decente ci sono: al di là delle interviste di Vitali (che lo ritiene migliore del Johnny Stecchino di Benigni), c’è un Vitali nel 1992 ancora in forma e non del tutto fuori tempo massimo, un contesto di cinema italiano agonizzante, ma non ancora putrefatto, una produzione più o meno solida e qualche attore professionista di troppo (tipo Massimo Vanni e Flavio Bucci). E a dirigere c’è Claudio Fragasso, l’ex aiuto regista di Mattei, che proprio in quegli anni passa da regista di horror a metà tra l’exploitation e il direct to video a regista di azione. Intendiamoci, Fragasso (che avrebbe filmato il film come Claudio Sansevero) fa cagare. È professionale dietro la macchina da presa, e le scene d’azione gli riescono bene, ma finisce miseramente lì. Comunque visti i registi dei successivi Pierini inediti, è grasso che cola.
   La trama è quella del sosia del criminale (Tutta la città ne parla il prototipo e infinite le varianti, da Il grande dittatore a Fracchia la belva umana, da Totò a Parigi a Johnny Stecchino). Stavolta il criminale è sosia di Pierino e Alvaro fa due parti. Ma più interessante della trama è la storia. De Benedittis sta producendo un film con Martufello protagonista, che si chiama Una sirena sulla costa. Ma non gli piace e a un certo punto chiama Fragasso, che vuole girare Teste rasate sulla base di un copione scritto da sua moglie. L’accordo è: tu mi tiri su il film e il ti produco l’altro. E così avviene. Solo che per completare il primo film, Fragasso caccia Martufello e ingaggia Vitali, sfrutta un po’ del girato e poi cambia la trama in quella definitiva. Il film viene doppiato e montato, ma Martufello cita la produzione, vince la causa e il film non viene distribuito e resta nel caveau di una banca, dove giace ancora oggi. Massimo Vanni (il mitico Gargiulo con Tomas Milian), ricorda di avere interpretato un ricchione, e di possedere a casa un trailer del film (mai esibito). Inoltre l’impresa che ha realizzato le pinne delle sirene ha pubblicato in rete alcune foto delle scene di lavorazione. Alcuni dizionari lo annoverano con il titolo Johnny Pierino.

Pierino al servizio di leva (1991)

   Si tratta di un Pierino mai girato. Nel 1990 il produttore Carmine De Benedittis studia il ritorno del nostro, e mette in cantiere due film, Pierino torna a scuola e Pierino al servizio di leva. Il primo esce, è un fiasco di botteghino, e il secondo non viene mai realizzato. Nel progetto iniziale i due film sono collegati. È previsto lo stesso cast (Nadia Bengala, Giulio Massimini e la sora Lella) e c’è anche la consecutio di trama, perché alla fine di Pierino torna a scuola ad Alvaro viene recapitata la cartolina precetto (pare in marina).
   Il dizionario dei film della Gremese Editore, che peraltro è uno dei meglio fatti, lo cita come film effettivamente uscito nel 1992, con Vitali, la Bengala e la regia di Laurenti, ed anche alcuni dizionari lo inseriscono nella filmografia della sora Lella (datandolo però nel 1993). Consultando l’annuario del diritto d’autore del Ministero dei Beni Culturali, si legge che i due titoli sono stati depositati assieme da De Benedittis, e l’anno dopo lo stesso produttore avrebbe convertito il titolo in Scuola di ecologia (anch’esso mai realizzato). È possibile che i problemi e le tensioni sul set di Pierino torna a scuola (compreso l’abbandono di Minniti) abbiano agevolato l’accantonamento del progetto. Peccato perché Alvaro nel 1991 ha ancora molto da dire, e il revival del genere soldatesse avrebbe potuto funzionare.

Vacanze a Gallipoli (2005)

   Dopo venti anni di ritorni scritti, girati e mai distribuiti (per i quali si rimanda alla interessantissima sezione dedicata ai Pierini inediti), Alvaro gira nel 2010 un film che esce l’anno dopo (almeno in qualche sala del sud e a qualche festival locale). Lo inserisco gioco forza tra i Pierini apocrifi solo perché nella trama Alvaro si chiama Pierino, ma non c’entra un cazzo di niente. È una specie di cinepanettone apocrifo, infatti nasce come Natale a Gallipoli, ma poi durante la lavorazione, che pare sia durata un po’ ed abbia avuto non pochi problemi, hanno deciso di ambientarlo d’estate e chiamarlo Vacanze a Gallipoli.
   Impossibile averlo visto, fino ad ora, ma c’è speranza che passi in dvd, o per lo meno in streaming. Con Alvaro c’è la seconda moglie inseparabile Stefania Corona, cantante/presentatrice nota per lo più nel circuito romano, e sua compagna nelle serate in teatro. Su youtube gira un trailer e qualche spezzone: il livello sembra come al solito ai minimi storici (anche se il giudizio finale lo darò dopo averlo visto), e non necessariamente per imperizia o mancanza di impegno, ma semplicemente perché oggi le cose si fanno così. La trama ce la racconta addirittura il sito del film: Alvaro e Stefania perdono il lavoro e vincono per caso una vacanza all inclusive a Gallipoli (molto credibile, soprattutto il nesso causale tra le due cose). Poi scambi di letti, coppie di ricchioni, schiaffoni, porte in faccia e perizomi in ordine sparso. C’è anche Costantino Vitaliano, al quale Alvaro mette la purga nel cocktail.

Pierino medico della S.A.U.B. (1981)

   Pierino medico della SAUB è comunemente fatto rientrare nella serie ufficiale, e ciò solo perché c’è Alvaro. Si tratta invece di un’operazione di paraculaggio distributivo, simile a quella di Pierino messo comunale, anche se ovviamente qui il film è ben fatto, e funziona pure meglio dei Pierini veri e propri. Dirige Giuliano Carnimeo, scafatissimo ex aiuto di Simonelli, e poi regista di qualche apocrifo di Spencer – Hill (con Smith e Coby), l’ideale per non sconfinare nella serie Z pur con mezzi di circostanza.
   Si tratta di un esperimento di utilizzare Alvaro come protagonista, infilandogli il camice e facendogli fare un aggiornamento in chiave scureggiona di Il medico della mutua con Alberto Sordi (con tanto di tema musicale uguale di Piero Piccioni). Niente male, tutto sommato, ma pochi mesi prima della fine delle riprese esce Pierino contro tutti e i produttori decidono di appiccicare Pierino nel titolo, almeno premurandosi di spiegare il perché con una scena apposita girata alla fine e montata ad inizio film. Pierino, dopo avere conseguito la licenza elementare a Roma, la media a Frosinone, e quella liceale a Canicattì, si è laureato in medicina ad Adiss Abeba, ed è tornato a Roma. Siccome ormai è laureato, il padre impone che non lo si chiami più Pierino, bensì Dott. Alvaro Gasperoni. Così il film può continuare così come è stato girato, con Pierino nel titolo e senza che nessuno chiami così Alvaro. Probabile quindi che durante la lavorazione (o almeno durante la stesura dei copioni, il film avesse un differente titolo provvisorio).
   Grazie al padre macellaio (il grandissimo Mario Carotenuto, altro che Massimo Ghini!), che gli procura una raccomandazione della Loggia P2, Alvaro riesce ad entrare come aiuto del primario in un ospedale romano. Chiuso dagli altri tre aiuti (Angelo Pellegrino, Salvatore Jacono e Pino Ferrara), impara che il valore di un buon medico lo rivela il numero dei propri malati. Così fa ricoverare tutta la famiglia (di cui fanno parte Ennio Antonelli, Gianni Ciardo ed Ester Carloni, tra gli altri) e diventa primo aiuto. Poi il primario (Mario Feliciani), al quale arriva la soffiata di un’imminente ispezione, si allontana per un po’ lasciandogli il comando dell’ospedale. Ovviamente l’ispettore (che è un finto malato al quale Alvaro chiede di portarsi da casa letto, materasso, lenzuola eccetera) lo sgama e Alvaro viene espulso. Non prima però di avere sfoggiato una serie di barzellette merdospedaliere (“Giovanotto, a parte il fatto che oggi è giovedì, ma poi a lei chi glie l’ha detto che io la domenica mi faccio toccare il culo?”). Si ride abbastanza, comunque, e Alvaro al livello più alto si concede anche un siparietto di spola tra le due stanze per fare più visite (proprio come Alberto Sordi).

Pierino messo comunale, praticamente spione (1981)

   Non si tratta nemmeno di un Pierino apocrifo, ma di un’operazione di distribuzione postuma di un incrocio tra un pornosoft e un porno con trama di quelli che si facevano tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Il titolo originale è L’infermiera di campagna, tremenda pellicola di Mario Bianchi, tremendo regista di serie Z, non così scarso dietro la macchina da presa, ma che non ha mai sfornato un prodotto decente. I protagonisti sono la premiata coppia (anche nella vita) Gemser – Tinti, che avrebbero meritato qualcosa di più (tutti e due), ma che in fondo se la sono andata a cercare la fama da attori di porno soft, accettando un ruolo scialbo dopo l’altro.
   La Gemser è una dottoressa che arriva a Bolsena (?) e tutti se la vogliono fare. E fin lì. Poi ci sono le elezioni che vedono il candidato democristiano Bianchi (sic), interpretato da Aldo Ralli, contrapporsi a quello comunista Rossi (ri – sic). E i tiri mancini che le due compagini si fanno dovrebbero fare ridere. C’è anche Nino Terzo che fa un impiegato comunale e Roberto Gallozzi (il peggior Pierino apocrifo), che mi pare alla fine si faccia la Gemser.
   Ovviamente è una tragedia inguardabile (non passava nemmeno su Italia 7, ma proprio sulle tv private private, a fasce orarie in cui cerchi le donne nude), e siccome deve avere fatto schifo a tutti, i distributori che lo hanno comprato lo hanno rieditato quattro volte. Siccome c’è Laura Gemser, lo hanno chiamato Emanuelle in campagna, una sorta di variante apocrifa di Emanuelle nera, che di per sé è già apocrifa. Siccome l’anno prima è uscito Agenzia Riccardo Finzi, praticamente detective di Bruno Corbucci, lo hanno fatto uscire come Messo comunale, praticamente spione. Siccome nel frattempo siamo arrivati nel 1981 (il film pare sia del 1978), lo hanno rieditato come Pierino messo comunale, praticamente spione (perché c’è un personaggio che al ridoppiaggio lo hanno chiamato Pierino). E siccome neanche il nome “Pierino” ha fatto il miracolo, ci hanno inserito quattro scene di sesso esplicito ed è diventato La dottoressa di campagna, un bel porno, che quello lo distribuisci sempre.

Che casino... con Pierino (1981)

   Il peggiore Pierino apocrifo in assoluto (decretato quasi all’unanimità dal pubblico pierinesco) è l’ultimo arrivato (uscito a metà 1982). Allestimento ai minimi storici, e questa volta non si può nemmeno dire che manchi l’impegno, perché stavolta l’impegno c’è. L’impegno a fare una porcheria. Si tratta di Che casino con Pierino, del mitico Bitto Alberitini (quello della serie dei Tre Supermen, tanto per capirci), uscito pare per pochi giorni e passato di rado pure su Italia 7, l’emittente alla quale dobbiamo massima gratitudine per avere tramandato i Pierini (veri e falsi) alle giovani generazioni.
   È il solito collage di barzellette, sempre peggio riuscite, senza riferimenti alla scuola e con un Pierino che non è né brutto, né simpatico, tale Roberto Gallozzi. I caratteristi sono ai minimi storici (Marcello Martana, Italo Vegliante – in una parte che sarebbe stata perfetta per Alfonso Tomas – e soprattutto Nino Terzo, qui in veste di barista/oste balbuziente, vera unica ragione di interesse del film, in particolare quando trasmette i messaggi in codice morse col culo).

Quella peste di Pierina (1982)

   Nel filone aporcifo non poteva mancare un Pierino coniugato al femminile. Va premesso che non ci si sono impegnati, ma probabilmente anche se lo avessero fatto sarebbe venuto uno schifo comunque. Siamo ancora nel biennio pierinesco 1981-82 (sia gli ufficiali in senso stretto che gli apocrifi si sono consumati tutti in quei due anni lì) e il fiato cortissimo della serie (se così si può chiamare) si sente eccome. Lo chiamano Quella peste di Pierina, con apposita canzoncina iniziale che ti rivela anche parte della trama.
   Dirige Tarantini pre Brasile, che una certa esperienza ce l’ha, ma il tutto non basta per fare centro. Pierina è Marina Marfoglia, ex ragazza in costume delle cartoline illustrate (di venti anni prima però), ex ballerina (cosa che è immediatamente tornata a fare), e soprattutto ex “bambina” del Bagaglino. Vista così la scelta ha un suo senso e la Marfoglia non fa proprio schifo. È il complesso delle cose che resta comunque penoso. Il cast non è nemmeno dei peggiori (Adriana Facchetti è la nonna, Clara Colosimo la madre, Carmen Russo la sorella bona, e Ugo Fancareggi il carabiniere fidanzato della sorella – ruolo che già aveva ricoperto nel Pierino con Giorgio Ariani). Dal Bagaglino arriva anche Oreste Lionello (che fa il maestro severo con la mano di legno), ma ci mette pochissimo impegno. Molto più convincente Lucio Montanaro, nel ruolo del compagno di classe abbacchione innamorato di Pierina e non ricambiato (“la vuoi sentire l’ultima battuta sullo stronzo?”). Per il resto le barzellette arrancano verso lo scialbo finale, nel quale Pierina cambia scuola, ma ritrova il maestro cattivo con la mano di legno. Esperimento non riuscito.

domenica 15 gennaio 2012

Pierino la peste alla riscossa (1982)

   Pierino la peste alla riscossa è il Pierino apocrifo più famoso. A vederlo la prima volta è un disastro assoluto, tipo Acapulco con Gigi e Andrea. Ma poi, proprio come Acapulco, diventa un piccolo grande cult, del quale non si può fare a meno. E non si tratta solo dell’essere così brutto da risultare bello e funzionare, c’è qualcosa di più, quasi di magico. Sarà forse che Ariani, pur essendo un disastro, è autoironico e simpatico, sarà che le barzellette sono comunque ben raccontate, a parte tutto. Fatto sta che Pierino è Avaro, ma questo film è un gioiellino unico nel suo genere. Andiamo con ordine.
   Siamo in pieno biennio pierinesco (1981-82) e i produttori mettono in cantiere un nuovo film, scritto per Alvaro Vitali, che però è ancora sotto contratto con la Nuova Dania Medusa di Luciano Martino (e pare che si rifiuti espressamente di girare questo film). L’allestimento è scarno, ma il cast è eccellente, migliore quasi di quello dei Pierini ufficiali. Mario Brega è il padre, Didi Perego la madre, la sora Lella la nonna, Adriana Facchetti la preside con i baffi, Giacomo Rizzo (oggi fa Benvenuti al Sud, ci hanno messo solo trent’anni per scoprirlo!) il maestro scemo, Enzo Andronico il barista strabico (phisique du role), Luigi Leoni il bidello e Jenny Tamburi la supplente bona. Più un sacco di caratteristi come sponda delle barzellette: Tiberio Murgia è il vigile, Ennio Antonelli e Alfredo Adami i contadini, Enzo Robutti il cliente scemo, Ugo Fancareggi il carabiniere fidanzato della cameriera zoccola, Salvatore Jacono il cliente del bar e Serena Grandi la cassiera. Dirige Umberto Lenzi, ex re incontrastato del poliziesco italiano, alla ricerca di nuovi generi prima di sconfinare nell’horror nostrano alla Fulci (oggi scrive invece romanzi gialli ambientati nella Cinecittà degli anni di guerra), e sceneggia il suo fido Dardano Sacchetti. Ma chi ti chiamano a fare Pierino? Giorgio Ariani. Il doppiatore di Oliver Hardy dopo Alberto Sordi. Ferrarese di nascita, ma fiorentino al 100 %. Classe 1943 (solo sei anni in meno di Didi Perego che interpreta sua madre). Se Vitali a 30 anni ne dimostrava 15, Ariani a 40 ne dimostra 50. È alto un metro e ottanta, e peserà un quintale. Il critico Mereghetti lo definisce “imbarazzante”, e infatti Ariani è vecchio, alto e grasso, il triplo dei suoi compagni di classe. Esattamente come Benigni che a cinquant’anni fa Pinocchio, con i capelli tinti. Stessa roba e stesso livello. Solo che Ariani si impegna, è simpatico e ce la mette tutta. Però resta imbarazzante e parla toscano a Roma, con padre e madre romani e la sora Lella come nonna. In più il film è interamente girato in presa diretta, con fruscio di fondo e in certe scene al chiuso anche l’eco (usare le giraffe no, eh?). Come cazzo è venuta fuori sta roba? Passino i film che si fanno adesso, passi la serie Z di allora, passi tutto quello che vuoi, ma qui a dirigere c’è Lenzi. Quello di Roma a mano armata, roba che Tarantino ci si masturba ancora oggi guardandolo. Bah!
   Diversamente dal precedente apocrifo (Pierino il fichissimo), qui Pierino compare in tutte le scene, ed è al centro di tutte le barzellette. Che sono volgarissime e tengono alta l’attenzione (“Signora maestra posso disegnare il mio uccellino? – Sì. – Posso disegnarlo di profilo. – Certo, ma perché vuoi disegnarlo di profilo? – Così risparmio un coglione!”). Poi Ariani che parla toscano senza una ragione vale il prezzo del biglietto.
   Ma c’è un motivo per il quale il film merita una stelletta in più. La sulfurea presenza di Renzo Montagnani, anche lui fiorentino al 100 %, benchè nato ad Alessandria. Probabilmente Montagnani passava dal set per caso, e per fare una cortesia a qualcuno, si è fatto buttare in scena in tre divertentissimi spezzoni (interpreta un pazzo inseguito dagli infermieri, che si spaccia per ispettore scolastico, presidente dell’ordine dei farmacisti e ministro della pubblica istruzione). È evidente che Montagnani improvvisa, ma essendo un grande attore, la sua presenza nobilita la scena. Geniale la sua entrata in classe come ispettore scolastico che interroga Pierino e lo sfotte (“è la prima volta che vedo un bambino del San Bernnardo. Mangia caro, mangia…”).

venerdì 13 gennaio 2012

Pierino il fichissimo (1981)

   Si dice che i Pierini apocrifi, per lo meno i due degni di nota, sono appunto venuti apocrifi, perché pur progettati con Alvaro, vengono realizzati senza di lui perché le produzioni vogliono battere il ferro finchè è caldo e non aspettano nemmeno i due anni che mancano alla scadenza dell’esclusiva di Alvaro con la Medusa. Che il genere, in ragione di ciò, si sia saturato in soli 18 mesi, l’abbiamo già detto.
   Pierino il fichissimo esce in sala tre mesi esatti dopo Pierino contro tutti: l’allestimento non è dei peggiori, anzi. C’è un cast che annovera il meglio del sottobosco comico – scureggione: Franca Scagnetti è la bidella, Aldo Ralli il padre, Vincenzo Crocitti il fratello medico, Adriana Russo la cameriera dell’Osteria numero 1000, Jimmy il Fenomeno il postino, Tognella e Tuccio Musumeci (tutti e due purtroppo sempre troppo poco presenti nel cinema italiano) costituiscono una inedita coppia di camionisti imbranati. La verve e le battute non sono nemmeno da buttare via (si vede che il cinema nostrano è ancora un minimo in salute, anche ai livelli più bassi). Quello che proprio non funziona è il protagonista, tale Maurizio Esposito, ex conduttore televisivo per bambini presto ed opportunamente sparito dalla circolazione. Esposito ce la metterà anche tutta, ma risulta antipatico (soprattutto fisicamente) e blasfemo (Pierino è Alvaro e non ci sono cazzi). A doppiarlo è Massimo Giuliani, ma non basta.
   Ad accorgersi che il protagonista proprio non funziona, deve essere stato anche il regista (Alessandro Metz, storico vice di Mariano Laurenti e figlio del grande Vittorio), che ha intelligentemente messo una pezza (anche se non basterà): ha inventato una trama e soprattutto ha ridotto al minimo la presenza di Pierino. La trama è che l’oste Gianni Ciardo deve assolutamente vendere l’Osteria numero 1000 a due sceicchi (Sal Borgese ed Enzo Andronico!), e per il giorno in cui vengono a mangiare lì organizza il pienone per far vedere che il locale funziona. I commensali sono: Pierino e famiglia per festeggiare il fidanzamento del fratello con la maestra, i due camionisti Tognella e Tuccio Musumeci, due sposini in viaggio di nozze (lui è Diego Cappuccio, che fa una imitazione pietosa di Troisi, lei è niente meno che Sandra Canale, molto svestita), e il maresciallo di una stazione dei carabinieri della quale fa parte l’appuntato Sandro Ghiani, fidanzato della cameriera dell’osteria. Il maresciallo è interpretato da Nino Terzo (con immancabile balbuzie aspirata) e la moglie soffre immancabilmente di aerofagia, il che genererà una tempesta alla fine del pranzo.
   Il film non è salvabile, ma ciò che va in sala oggi è sicuramente peggiore. A rendere interessante il tutto è l’estrema volgarità delle barzellette (Pierino riempie di piscia una bottiglietta per fare uno scherzo, la bidella glie la sequestra e la tracanna tutta d’un fiato: “t’è piaciuta? – Eh m’è piaciuta sì – Allora aspetta un’attimo che te vado a preparà’ un panino pieno de merda!”), il mestiere consumato di Ciardo (che a piccole dosi funziona sempre), e le barzellette sui carabinieri interpretate dal duo Ghiani – Terzo (“Signor maresciallo, mi sono dimenticato quali sono le mille lire per il caffè e quali quelle per il giornale. – E come faccio a ricordarmelo io?”).

Club vacanze (1995)

   La continuity pierinesca ufficiale, dopo Pierino torna a scuola, sarebbe continuata con il film mai realizzato sul Pierino richiamato alle armi. In teoria fanno parte della continuity ufficiale anche Pierino stecchino, che però non è mai stato proiettato e giace nel caveau di qualche banca sequestrato, e i film di Iudice, che però vanno inseriti nel calderone dei Pierini inediti, perché se li è visti Iudice a casa propria dopo averli girati. Quindi, a voler essere rigorosi nell’esegesi delle fonti istituzionali della Repubblica Popolare Scatologica, dovremmo intendere per Pierini ufficiali solo quelli con Alvaro Vitali, regolarmente distribuiti al cinema e inseriti in un contesto di continuità di trama (se così si può chiamare). Quindi niente film con Alvaro ai quali è stato inserito il nome “Pierino” nel titolo per acchiappare spettatori. Detta così, l’ufficialità finisce con Pierino torna a scuola e forse è giusto che sia così.
   Inserisco tuttavia Club vacanze del 1995 tra i Pierini ufficiali solo per ragioni filologiche. Si tratta infatti di un film regolarmente distribuito (seppure solo in televisione perché girato solo per la televisione) e girato ancora con un minimo di professionalità, con Alvaro che fa più parti, tra cui, per cinque minuti proprio Pierino. Andy Luotto, nella prima scena, quando si reca a cercare Alvaro che fa il carrozziere, si imbatte prima in Pierino, il suo fratello maggiore, che sta pisciando contro un muro. Il tempo di raccontargli la barzelletta della sorella che “sarta… da un cazzo all’altro”, e scompare di scena. Per conto mio l’ufficialità e salva e conseguita.
   Il film è poca cosa. Ci sono un po’ di vecchie glorie della commedia erotica (oltre ad Alvaro e Luotto, ci sono anche Bruno Minniti e Lucio Montanaro, quest’ultimo – pare – anche coproduttore), e c’è il vecchio Alfonso Brescia, completamente isolato dai produttori dopo la scomparsa del cinema di genere, che infatti si autoproduce. Mezzi e scenari sono al limite del dilettantismo e la mano del regista si vede pochissimo. Se non ricordo male è anche in presa diretta, tanto per non farci mancare nessun difetto. La trama è risibile, non che sia un problema, perché in questi film non è necessaria, ma occorre che almeno a qualcuno interessi fare un prodotto decente, e qui pare che siano tutti al “si salvi chi può”. Alvaro e Lucio Montanaro sono scambiati per rapinatori con bottino in valigia da Andy Luotto che li assume nel suo albergo/villaggio, dove si svolgeranno tutte le gag (equivoci, doppi sensi, scambi di camera e di persona eccetera). Insomma un remake di La dottoressa preferisce i marinai, con la coppia comica Alvaro / Gianni Ciardo, che però, pur essendo una cazzata, era perfettamente inserito in un contesto e funzionava (con Lucio Montanaro che faceva il cameriere che doveva portare la medicina per l’aerofagia a Gino Pagnani, ma gli cadeva sempre il vassoio a causa delle scuregge meteoriche di quest’ultimo, bei tempi!). Qui però sono tutti fuori forma e probabilmente questo è il primo segnale che i due protagonisti sono ormai fuori tempo massimo (cosa che fino a poco tempo prima non era): per questa ragione non bisognava affatto proseguire con revival successivi (Se lo fai sono guai, Vacanze a Gallipoli eccetera). Club vacanze è stato l’avvisaglia, mentre l’assenza di distributori per i prossimi film sarà la conferma.

Pierino torna a scuola (1990)

   Dopo Pierino colpisce ancora, come ho già scritto, cala il sipario sul grande Alvaro Vitali, trentaduenne e con quattordici anni di cinema alle spalle (quattro scritture consecutive da Fellini, e poi Monicelli, Magni, Polanski, Risi, Sordi, Gassman, Tognazzi, eccetera). Un fatto inspiegabile. Forse spiegabile solo dal fatto che Alvaro è ormai per tutti Pierino e la gente non crede che possa fare altro o di meglio. Solo Sergio Citti nel 1987 gli fa fare un ruolo in Mortacci, mettendolo in coppia con il vecchio e quasi afono Aldo Giuffrè. Poi più niente, con il povero Alvaro costretto a mendicare particine che non gli danno e a fare l’ospite alle trasmissioni che ricordano Fellini. Anche Alvaro probabilmente si è convinto di poter fare solo Pierino, perché quando lo intervistano parla sempre di progetti di ritorno del personaggio (Don Pierino, Pierino contro Fantozzi), anziché pensare ad altro. Io per esempio lo vedrei bene a fare qualche cosa tipo Il cappotto di Gogol (avete presente Rascel?). Ma forse e molto più semplicemente essendo morto il cinema italiano, l’Alvaro attore è morto con lui (come anche Banfi attore, il Lando attore e molti altri), mentre sono rimasti vivi e proliferano i non attori Massimo Boldi e Leonardo Pieraccioni (De Sica no: lui secondo me il talento ce l’ha, fa solo merdate, ma il talento ce l’ha).
   Nel 1990 il produttore Carmine De Benedittis mette in cantiere il ritorno di Pierino progettando due film, uno con il suo ritorno a scuola e l’altro con il suo richiamo alle armi. Nasce così Pierino torna a scuola, terzo (e di fatto ultimo) film della serie ufficiale, che comincia proprio dove finiva il precedente di otto anni prima. Con Pierino che perde sistematicamente un lavoro dietro l’altro. All’inizio del film Pierino lavora al cinodromo, dove gli fanno sostituire la lepre meccanica. Stanco dei lavori, decide di ritornare a scuola appunto, dove si innamorerà della supplente, farà un casino dietro l’altro e si farà bocciare all’esame finale (meno esilarante di quello di Pierino colpisce ancora). Finchè, a fine film, gli arriva la cartolina precetto.
   Il mitico tema musicale di Pierino resta, senza però la canzone, e la fotografia fa vedere un po’ di più il centro di Roma, rispetto ai primi due. A Girolami subentra Mariano Laurenti (anche lui di grande mestiere e perfettamente a suo agio) e il cast è del tutto rinnovato. Giulio Massimini fa il padre di Pierino (come già fece nell’episodio pilota della serie televisiva), sempre titolare dell’osteria, l’ex miss Italia Nadia Bengala fa la supplente bona (ma non si spoglia, si prende sul serio e recita con i piedi), e al posto del nonno Riccardo Billi c’è la mitica Sora Lella come nonna, veramente all’altezza, già solo per la presenza e il tono di voce, che si gioca al Totocalcio la pagella di Pierino. Tornano anche un po’ di caratteristi vecchie glorie, quasi tutti all’ultima apparizione: Franco Caracciolo è il fidanzato checca della sorella, Alfonso Tomas (il dottor Tomas non è in sede) è il cameriere con i tic, che ovviamente serve il brodo, Bruno Minniti il supplente macho e Jimmy il Fenomeno il venditore di pappagallini (non so se sia vero l’aneddoto che gira, per cui per fare questa parte di cinque minuti avrebbe rifiutato di fare il protagonista di La voce della Luna di Fellini al posto di Villaggio, probabilmente è falso, ma mi piace pensare che sia vero).
   Il film, però, zoppica, e non poco. Alvaro è in forma smagliante e probabilmente non è nemmeno colpa della regia di Laurenti. La volgarità e la cattiveria sono molto ridotte (anche se Marco Giusti sul suo dizionario, fa notare che non è così e prende ad esempio lo scherzo sullo stronzo del cane e la battuta che per entrare in Rai devi avere un garofano all’occhiello), e il complesso ne risente. Anche gli altri non avevano trama, ma erano organici, questo no. Battuta dopo battuta ti aspetti sempre che il film stia per cominciare veramente e in un attimo non vedi l’ora che sia finito. Forse ci sono stati dei problemi durante la lavorazione, visto che Minniti ha dichiarato di avere lasciato il set dopo un paio di ciak per l’aria che tirava, e forse proprio per questo il film su Pierino alla Naja non lo hanno fatto (anche se nella scena finale l’appuntamento viene lanciato), perdendo l’ennesima grande occasione.

mercoledì 11 gennaio 2012

Pierino colpisce ancora (1982)

   Un grande seguito. Altro che Terminator 2, che poi era un grande seguito anch’esso, ma vuoi mettere Schwarzenegger con Alvaro? Arrivato appena un anno dopo il grande prototipo. Altro che Terminator 2, che c’hanno messo sette anni. Ve detto però che a Cameron, per fare Terminator 2 nessuno gli ha messo fretta, mentre il buon Marino Girolami ha dovuto girare l’istant sequel per arginare il proliferare dei Pierini apocrifi che subito dopo l’originale sono comparsi nelle sale, generando la saturazione del genere in soli due anni. Un record. Anche di Terminator ne sono usciti di apocrifi e non pochi, ma il genere non si è saturato, e quando Schwarzenegger finirà di fare il governatore della California, gireranno pure il quarto capitolo.
   Girolami, all’uscita del seguito, dichiara che girerà i Pierini fino all’esaurimento, ma l’esaurimento è dietro l’angolo, anzi si è già consumato. E così Pierino colpisce ancora riesce ugualmente un capolavoro che incassa quasi quanto il precedente, ma sarà anche la pietra tombale del genere, della carriera di Alvaro e di un periodo della mia vita. Secondo una interpretazione ultrarestrittiva ed ortodossa, alla quale peraltro io aderisco in pieno, la serie ufficiale si potrebbe anche fare terminare qui. Un corpus unico dei soli primi due film, tipo i primi due Fantozzi di Luciano Salce. Solo nei primi due film c’è continuità di tutto, regista, sceneggiatori, cast, musiche, produzione. La vera continuity. Girolami e Alvaro gireranno anche un episodio pilota di una serie televisiva su Pierino, serie che non verrà però realizzata sempre per l’autosaturazione del genere. Nella puntata pilota (andata in onda nelle tv private romane) ci sarà Giulio Massimini al posto di Enzo Liberti, come padre di Pierino.
   Nel trailer Alvaro avverte: “sono stato il primo e sono l’ultimo, di Pierino ce n’è uno e tutti gli altri sono figli di…”. Chiaro monito ad Ariani ed Esposito, ma non basterà. Un peccato, perché il seguito è venuto meglio dell’originale: è più divertente e c’è pure una trama, almeno fino a metà film.
   All’inizio Pierino va a dare gli esami: per essere promosso è collegato via radio con il nonno che gli detta il tema su Garibaldi, intercettando la frequenza dei Carabinieri e generando un tema misto esilarante (“il suo amore per Anita dura fino al momento in cui… ha preso alloggio in via Alessandria e convive con una prostituta… alla quale disse Obbedisco”). Ma è all’orale che Pierino dà il meglio di sé (“A professo’ io sto perimetro non lo trovo. A me mi sa che se lo so’ fregato”), con una volgarissima espressione algebrica e con una versione scureggiona e ben arrangiata del proemio dell’Iliade (nella versione del Monti!). Tanto basta perché il commissario d’esame, interpretato da Gianfranco Barra, lo bocci e lo espella dalla scuola.
   Tornato all’osteria del padre, questi prende una decisione drastica (“A papà, potrei andare a scuola serale. – Sì così c’avresti pure più tempo per combina’ casini!”): mandarlo in collegio a Grosseto. Dopo un divertentissimo viaggio in treno, con un morso alla mano di Dino Cassio (che nel primo film faceva il tassinaro) e la mitica scena della merda finita sul soffitto dello scompartimento, Pierino arriva in collegio, dove il bidello è Toni Ucci, il preside è Enzo Robutti (che nel primo film faceva il ferramenta), con una figlia grassona (Nicoletta Piersanti), che si innamora di lui (“Sono stata all’istituto di bellezza. – Che hai trovato chiuso?”). Ma soprattutto in collegio ritrova la supplente bona del primo film, Michela Miti, alla quale confessa tutto il suo amore (“Ma Pierino, a me non piacciono i bambini. – Se è per questo vorrà dire che non li faremo i bambini, ci staremo attenti”). Geniale l’utilizzo di Robutti come preside, il professor Pomari, al quale Pierino combina un guaio dietro l’altro (“Se in una tasca dei pantaloni hai 100 mila lire e nell’altra hai 10 mila lire, cos’hai in tutto? – C’ho i pantaloni di un altro”).
   Dopo avere combinato i peggio casini in collegio, Pierino scappa e ritorna a Roma, dove il padre gli trova dei lavori da lui inevitabilmente persi. Il film finisce con questa serie di barzellette che vede Pierino perdere un lavoro dietro l’altro: macellaio, becchino, venditore di stoffe, venditore di borse.
   Del cast del primo film tornano, nelle stesse parti, Enzo Liberti, Michela Miti, Sofia Lombardo, Alfredo Adami e Riccardo Billi nel ruolo del nonno, morto tre mesi dopo l’uscita del film nelle sale, e inspiegabilmente utilizzato solo in due scene ad inizio film. Il tema di Pierino, diventa in questo secondo capitolo una canzone, intitolata “Col fischio o senza?”, cantata dallo stesso Alvaro, e anch’essa diventata un famosissimo tormentone fino ad oggi.

martedì 10 gennaio 2012

Pierino contro tutti (1981)

   Apriamo oggi una nuova rubrica dedicata ai fondamenti istituzionali della Repubblica Popolare Scatologica, ossia i film di Pierino, che verranno recensiti uno ad uno e verranno catalogati in tre differenti sezioni: una per i Pierini ufficiali, una seconda per i Pierini apocrifi ed una terza per i Pierini inediti e mai realizzati.
   Incominciamo, ovviamente dal primo grande assoluto prototipo, Pierino contro tutti di Marino Girolami. Due milioni e cinquecento mila spettatori alla prima visione, dieci miliardi di incasso, tutti per la Nuova Dania (una branca della Medusa di Luciano Martino) e nulla per il povero Alvaro, che ha un contratto anomalo con il produttore, per cui lui viene regolarmente stipendiato a condizione di fare un tot di film all’anno. Un contratto (che allo scadere nemmeno gli verrà rinnovato lasciandolo sul lastrico) che va bene per un caratterista, quale era appunto Alvaro fino a questo film, ma non per un protagonista che ti regge tutto il film da solo. Ma tant’è.
   L’idea per questo capolavoro immortale viene al regista Marino Girolami (trent’anni di carriera alle spalle): la commedia erotica alla Banfi / Montagnani (di cui Alvaro è il migliore gregario), dopo sei anni di gloria, ha il fiato cortissimo e quindi occorre una ulteriore sapiente evoluzione drammaturgica, con promozione sul campo delle seconde linee. Girolami dice: facciamo un film sulle barzellette di Pierino? Ci compriamo il libro e ogni giorno andiamo sul set e decidiamo quali girare e quali no. Poi montiamo tutto. Zero spese, zero scenografie, zero tempo e massimo risultato. Il massimo risultato deriva però dal fatto che il tutto viene fatto nel 1981, quando il cinema italiano non è ancora deceduto, e quindi si dispone di attori, caratteristi, generici, comparse, tecnici delle luci e del suono, cameraman eccetera. Tutti sanno quello che devono fare e lo sanno fare, quindi basta l’idea geniale. L’idea geniale si chiama Alvaro Vitali, comico selvaggio, che a trent’anni esatti ne potrebbe anche dimostrare quindici e che ha il grembiule di Pierino cucito addosso (come Anthony Perkins quello di Norman Bates, e come Frenandel quello di Don Camillo) e che purtroppo per lui non riuscirà più a scucirselo, nemmeno adesso che di anni ne ha sessanta. Ma c’è anche un antefatto: Alvaro sui banchi di scuola ce lo ha messo sette anni prima niente meno che Federico Fellini, che gli fa interpretare Naso, uno degli studenti sporcaccioni di Amarcord, premio Oscar. Da lì, il tema della scuola ispira la commedia erotica, nata l’anno dopo (1975), con L’insegnante di Nando Cicero. La genesi ce la spiega Marco Giusti, che ricorda i tre elementi che si fondono per dare vita al nuovo genere: la Sicilia pruriginosa stile Malizia con onorevole corrotto stile Giovannona Coscialunga (anche qui interpretato da Vittorio Caprioli), la Fenech come dirompente bellezza autoironica (anch’essa proveniente da Giovannona), e il tema della scuola, appena trattato da Fellini, con Alvaro studente somaro e scureggione. Da lì in poi e per sei anni è un tripudio di dottoresse, infermiere e supplenti il più svestite possibili ed accompagnate da Banfi, Montagnani e Carotenuto, con Alvaro sempre tra i banchi di scuola (a volta anche come bidello e professore), fino appunto a Pierino, il punto di non ritorno.
      Pierino è innamorato della supplente e provoca continuamente incidenti alla maestra cessa per farla sostituire. Nel frattempo trova un cane e se lo porta sempre dietro, aiuta il padre e la madre all’osteria, combinando però solo casini, e rovina la festa di fidanzamento della sorella.
La trama, comunque, non c’è. Sono barzellette, per lo più legate alla merda ed alle scuregge, sceneggiate alla bell’e meglio e magistralmente interpretate da Alvaro, con la sua mitica risata da ebete: “Prrrrrrrrrrr – Mamma che cos’era quel rumore? – Niente, era il cannone che annuncia il mezzogiorno – A signo’, guardi che deve regolare il culo, chè va un quarto d’ora avanti!”. Roba immortale, destinata a non tramontare mai. E con un cast di supporto tagliato per quella parte: il vecchio Riccardo Billi è il nonno reduce di guerra e rincoglionito, il mitico Enzo Liberti il padre oste, Sofia Lombardo la maestra brutta, il doppiatore Michele Gammino il maestro di ginnastica e Michela Miti diciottenne la supplente bona, alla quale cadono i fogli dalla cattedra e Pierino e due compagni si gettano sotto il tavolo per raccoglierli e guardarle le mutande. “Tu cos’hai visto? – Niente, il polpaccio e il ginocchio – Una settimana di sospensione! E tu cos’hai visto? – Io, un po’ più in su – Un mese di sospensione. E tu Pierino cos’hai visto? – E io è meglio che ritorno ‘st’altr’anno!”. E poi ogni barzelletta ha un caratterista come contraltare di Alvaro: Vincenzo Crocitti è l’uomo morsicato alle palle dal serpente, Giulio Massimini il consuocero, Francesca Romana Coluzzi la donna che ha paura dei gatti, Enzo Robutti il ferramenta pignolo, Enzo Garinei il cliente scocciato, Dino Cassio il tassinaro stronzo, Salvatore Baccaro l’uomo che guarda la partita al flipper, Franco Caracciolo la checca al bar, Alfredo Adami il bidello Alfonso (“Alfonso? – Siii? – Nun fa lo stronzo!”).
   La fotografia terribile magnifica l’arte di Alvaro, che lancia il tormentone “Col fischio o senza?”. L’altro tormentone è il tema della sigla, per ora solo musicale, che resterà nell’immaginario collettivo fino ai giorni nostri. Rivisto oggi funziona e continua a funzionare: è il primo vero barzelletta movie riuscito italiano. Altro che i Vanzina!